Don Fulvio Calloni
Eremita Dicesano dal 2 febbraio 2001
Nato nel 1955, vengo ordinato sacerdote nel 1981 nella diocesi di Lucca. Dopo un’esperienza in un quartiere popolare di Viareggio, sono stato in Ruanda, e nel mio villaggio c’era un ospedaletto che accoglieva bambini colpiti da malnutrizione, noi cercavamo di aiutarli a riprendersi, ma la maggior parte delle volte erano talmente magri e disidratati, che morivano. Quando vedi morire un bambino, o perdi la Fede o ti fai eremita. Io la notte dormo pochissimo, il più delle volte penso a questi bambini, soprattutto al primo che ho visto morire, aveva circa 12 anni, la sua mamma me lo porse e mi chiese di battezzarlo. Lo battezzai sulla soglia dell’ospedale perché stava per morire, infatti poco dopo morì. Spesso la notte penso a questo bambino… Nel 2014, provato da un’infezione contratta in Ruanda, rientro in Italia per curarmi, lasciando tutti gli impegni pastorali compreso quello di parroco. Un anno dopo, guarito dalla malattia, decido di far esperienza di preghiera e solitudine in un eremo, con l’intenzione di trascorrervi una decina di giorni ma dal giorno del mio arrivo non lo ho mai più abbandonato. Io non sono sempre stato prete e non sono sempre stato vecchio! Io so cosa vuol dire svegliarsi la notte con una persona accanto! Nel mezzo delle tenebre senti il suo respiro che ti dà pace, serenità, magari vorresti svegliarla per raccontarle i sogni che hai appena fatto, ma la lasci dormire così sta in pace con Dio. Io qui, nel silenzio di questo luogo, sento Dio, mi sento abbracciato da Dio, sento il suo respiro, magari sarà immaginazione, ma che bella questa immaginazione… Anche per noi eremiti, come per tutte le persone, il nostro amore per Dio, è un amore “umano”, non è un amore divino, non è incondizionato come l’amore di Dio, è condizionato dalla nostra fragilità, dalla nostra debolezza, dalle nostre crisi, dal fatto di essere stanchi, e quindi anche noi possiamo avere dei momenti di “pausa”, di “distacco”, ma la nostra fedeltà sta nel ricominciare ogni volta. Questa è la fedeltà secondo me, questa è la Fede, saper “ricominciare” ogni volta che si ha una crisi. Dobbiamo imparare ad accettarci nelle nostre fragilità, se Dio ci avesse voluti “perfetti”, non ci avrebbe impastato col fango. Noi eremiti siamo come un arcipelago, ognuno è un’isola a sé e tutti “liberi” di vivere la propria spiritualità. Una definizione che mi piace molto di noi eremiti, è “Eremiti irregolari”. Non è facile entrare in un eremo a 60 anni. Io ho girato tutto il mondo, sono stato in Brasile, in Guatemala, in Ruanda, ho vissuto in un campo profughi in Tanzania, però questa vita che vivo quassù, isolato e nel silenzio, non la cambierei con niente, e spesso dico che il mio eremo vale molto di più di un cappello cardinalizio.